giovedì 27 febbraio 2014

Billy Idol - Cradle of love - David Fincher


Siete fan sfegatati di Se7en e Fight Club? Vi siete spaventati di fronte alle gesta del serial killer Zodiac? Oppure vi siete commossi guardando Il curioso caso di Benjamin Button, un po' inquietati quando è uscito The Social Network, o parteggiato per Lisbeth Salander in Millenium?
In tutti questi casi siete dei fan di David Fincher, uno dei registi più interessanti di Hollywood, capace di unire all'attenzione per il mercato capacità tecniche ed espressive fuori del comune.
Fincher è uno che ha fatto tanta gavetta, ha iniziato poco più che ventenne a dirigere commercials (cosa piuttosto frequente fra i grandi registi, come sanno bene i lettori di questo blog), e mentre cinematograficamente si faceva le ossa come direttore degli effetti visivi di Il ritorno dello Jedi, La storia infinita e Indiana Jones e il tempio maledetto diventò famoso come regista di video musicali. Fra le sue collaborazioni si ritrovano grandi nomi come Mark Knopfler, Steve Winwood, Roy Orbison, Madonna e molti altri che sarebbe lungo citare tutti qui.

Un suo video particolarmente cinematografico è quello di Cradle of love di Billy Idol; intanto perchè la canzone fa parte della colonna sonora di un film (Le avventure di Ford Fairlane, passato praticamente inosservato in Italia) e poi perchè nel video si ammicca diversi stereotipi del cinema anni 80, dalla danza dietro le veneziane che ha reso celebre Kim Basinger in 9 settimane e 1/2 alla contrapposizione fra un mite geek e una disinibita fanciulla (Fuori orario e Qualcosa di travolgente, oltre ovviamente a Cercasi Susan disperatamente).
Nel video una attraente lolita (Betsy Lynn George, nonostante la carica sexy non ha avuto una carriera rilevante) irrompe nella casa di un geek (si capisce che è un geek perchè ha un Mac) dove si scatena ballando sulle note di Billy Idol, che si limita a comparire all'interno delle numerose opere d'arte appese alle pareti. Billy Idol viene ripreso soltanto dalla vita in su perchè aveva appena avuto l'incidente di moto che lo ha lasciato zoppo (nel successivo video di LA Woman, sempre di Fincher, sfoggia un elegante bastone da passeggio).

Un'ultima curiosità, il video riportato qua sotto è la seconda versione: nel primo taglio infatti al posto del tizio che suona la chitarra c'erano alcune tratte da Le avventure di Ford Fairlane. L'attore protagonista Andrew Dice Clay (ultimamente lo abbiamo visto in Blue Jasmine di Woody Allen dove interpreta il primo marito di Sally Hawkins) era stato bandito "for lifetime" da MTV a causa di alcune battute molto  politicamente scorrette sui gay. Per la cronaca il bando è stato revocato nel 2011... ed ora godiamoci il video!


1990 - Cradle of love
Artista: Billy Idol
Regia: David Fincher
Album: Charmed Life (1990)

martedì 25 febbraio 2014

A proposito di Davis - Baby let me follow you down


Un uomo cammina per le strade fredde e innevate di New York, senza neppure un cappotto addosso, ma porta con sè la custodia di una chitarra acustica. L'atmosfera ricorda molto da vicino la copertina di The freewheelin' Bob Dylan, e non è un caso.
A proposito di Davis descrive l'ambiente dei musicisti folk nel Village nei primissimi anni 60. La figura di Bob Dylan aleggia in ogni inquadratura senza tuttavia comparire (quasi) mai. La musica è probabilmente il personaggio a cui è dedicato il maggior metraggio nella pellicola: ci sono moltissime canzoni, accuratamente selezionate, riprese dal principio alla fine e cantate in presa diretta dagli stessi attori.
Senza azzardarsi nella ricostruzione storiografica, i fratelli Coen ricostruiscono un'atmosfera ispirando i propri personaggi a figure reali, ispirandosi alla autobiografia di Dave Van Ronk, un musicista folk attivo in quel periodo (fu lui ad arrangiare due famosi pezzi del brimo album di Dylan: Baby, let me follow you down e la celeberrima House of the rising sun). L'operazione si potrebbe quasi considerare una docufiction, data la sostanziale assenza di una trama, che - devo ammettere - lascia abbastanza scombussolato lo spettatore.



Llewin Davis, il personaggio principale, è un giovane musicista folk che vive la propria vita alla ricerca di ingaggi, dormendo sui divani di amici e conoscenti, nella speranza di essere notato da qualche produttore importante (fa anche un viaggio fino a Chicago per conoscere il famoso Bud Grossman, che nella realtà diventerà di lì a poco il manager di Dylan) e ottenere finalmente il successo che ne "certifichi" il talento. Non è il talento a far difetto in Llewin, a ben vedere, ma la volontà e la determinazione. Come tutti coloro che non conoscono con esattezza il proprio posto nel mondo, Davis si lascia vivere giorno per giorno, costantemente combattuto fra l'ansia per i successo e la difesa della propria purezza artistica. Con quale sogghigno di sufficienza partecipa alla jam session con Jim e Al Cody! E' talmente fuori fase che non riesce neppure ad arrendersi, quando decide di imbarcarsi nella marina mercantile scopre di aver gettato via le licenze d'imbarco!
E tuttavia proprio quando lo vediamo ormai sconfitto la storia riprende da capo; forse non tutto è perduto per la carriera di Llewin.


I personaggi sono tutti, quale più quale meno ispirati ad artisti realmente esistiti; per raccapezzarvi nel guazzabuglio delle corrispondenze vi consiglio di leggere questo post. Il protagonista è interpretato da Oscar Isaac (visto - con dubbi - in Robin Hood, più convincente in Drive) che disegna un Llewin sempre più perplesso dalle grottesche disavventure che si susseguono. Carey Mulligan meriterebbe l'Oscar per l'insulto più bello dell'anno ("tutto quello che tocchi diventa merda, sembri il fratello idiota di Re Mida!"), John Goodman impersona un jazzista eroinomane (del resto...sono mai esistiti jazzisti non tossicomani?) e malmostosissimo, Justin Timberlake ancora una volta sceglie con oculatezza un ruolo secondario ma che gli si cuce addosso molto bene.
Ben curati i costumi di Mary Zophres (collaboratrice abituale dei Coen, ma ha fatto anche cose molto diverse come Iron Man 2 e Interstellar il prossimo e attesissimo film di Christopher Nolan).
Bruno Delbonnel (Il favoloso mondo di Amélie, Across the Universe, Dark Shadows) si è guadagnato come minimo la nomination all'Oscar per la fotografia, ispirata proprio alle copertine dei primi album di Bob Dylan.


Il film è molto difficile da seguire dal momento che gli avvenimenti rappresentati sullo schermo non sono legati logicamente fra loro: da un lato ciò che interessa i Coen è rendere l'idea di un ambiente artistico in uno specifico momento storico, dall'altro è importante per il film che il protagonista sia sbattuto di qua e di là senza un motivo. La struttura circolare della sceneggiatura riesce però a dare una significato a tutto quanto. 
Anche se rispetto al loro solito mi pare che le citazioni filmiche siano meno numerose del solito (degno di nota però il nome del proprietario del locale  in cui Llewin si esibisce abitualmente: Pappi Corsicato), Inside  Llewin Davis resta una delle opere più indecifrabili dei Coen, privo com'è di un personaggio coinvolgente e di una storia con un inizio e una fine. Se la pellicola nel suo complesso non entusiasma, l'eleganza compositiva, le ottime prove attoriali (per nulla premiate dall'Academy) e la interessante colonna sonora ne fanno una pellicola che merita di essere vista.



2013 - A proposito di Davis (Inside Llewin Davis)
Regia: Ethan Coen, Joel Coen
Fotografia: Bruno Delbonnel
Costumi: Mary Zophres
Scenografia: Jess Gonchor

giovedì 20 febbraio 2014

Gigolo per caso


Avete nostalgia delle commedie di Woody Allen? Buone notizie: fra un paio di mesi potrete andare a vedere il nuovo film di John Turturro!
No, non sono ancora del tutto rimbambito (anche se ci sto lavorando), il punto è ch  il 17 di aprile uscirà Gigolo per caso, nuovo film del Turturro regista (Romance & cigarettes, Passione) con un cast molto interessante: oltre allo stesso autore gli attori sono Woody Allen, Vanessa Paradis, Sharon Stone, Liev Schreiber e Sofia Vergara.
La trama (scritta sempre da Turturro) racconta di due amici, Fioravante e Murray, che decidono di entrare nel business del sesso rispettivamente come gigolò e manager. A complicare la faccenda arriveranno, ovviamente, i sentimenti e meno prevedibilmente ma immagino già con effetti esilaranti, la comunità ebraica di New York.

Il film è ambientato e realizzato quasi integralmente da ebrei newyorchesi, con una punta di italianità che ci inorgoglisce: la fotografia di Marco Pontecorvo (figlio di Gillo) e il montaggio di Simona Paggi (Lamerica, La vita è bella).

Il film è stato proiettato in anteprima la scorsa estate al Toronto Film Festival e le prime critiche oscillano fra il molto divertente e la vaccata inguardabile. Il giudizio, dunque, va sospeso in attesa di vederlo di persona. Secondo me le premesse per una pellicola divertente e fuori dagli schemi ci sono tutte, non ci resta che attendere!


2014 - Gigolò per caso (Fading gigolo)
Regia: John Turturro
Fotografia: Marco Pontecorvo
Scenografia: Lester Cohen
Costumi: Donna Zakowska

lunedì 17 febbraio 2014

Monuments men


Proveniente dal 64° Festival di Berlino, è giunto sui grandi schermi italiani Monuments Men, il quinto film da regista di George Clooney dove si racconta di una operazione poco nota della Seconda Guerra Mondiale e film corale nel quale, oltre al bel George danno ottima prova di sè anche Matt Damon, Bob Balaban, John Goodman, Bill Murray, Cate Blanchett e Jean Dujardin.


I Monuments Men sono i membri di una unità speciale delle forze alleate: professori universitari, curatori museali, architetti e professionisti dell'arte in genere che vennero reclutati per salvare dai bombardamenti e recuperare dal saccheggio nazista le opere d'arte che costituiscono il patrimonio culturale su cui si fonda non solo l'Europa, ma la intera identità occidentale. Un plotone di improbabili e attempati soldati, che danno vita ad una unità di truppe davvero speciali, direttamente sotto al comando del generale Eisenhower.
Il film mostra i rapporti non sempre facili fra i componenti del gruppo e quelli quasi sempre tesi con i comandanti delle truppe sul campo, poco inclini a rischiare la vita dei propri uomini per salvare delle opere d'arte; poco a poco i Monuments Men iniziano a mietere successi nel recupero e - quando possibile - nella restituzione ai legittimi proprietari di migliaia di opere. Anche la guerra si avvia a conclusione non per questo i Monuments Men saranno esenti dal pagare un sanguinoso tributo nel'adempimento del proprio dovere.


George Clooney dirige un film con piglio d'altri tempi: quasi non ci sono quasi esplosioni spettacolari, siamo molto lontani dall'iperrealismo dello sbarco a Omaha Beach di Salvate il soldato Ryan, ma anche dalla ironia liberatoria di Inglorious Basterds.  Film come Monuments Men nascono intorno al soggetto ed è più che abbastanza; si potrebbe dire che la sceneggiatura sembra sempre sul punto di decollare ma non lo fa mai; che la parte del reclutamento, della descrizione dei personaggi e della loro motivazione è appena accennata, che dal Clooney autore ci si aspetterebbe una visione critica anche dell'operato degli Stati Uniti che si risolve però troppo rapidamente nel mostrarci un breve tentennamento iniziale di Roosevelt e nella domanda finale posta da Truman.


Insomma ci sarebbero un sacco di motivi per cui si potrebbe dire che Monuments Men resta sotto le aspettative, ma sarebbe ingiusto farlo. Clooney sceglie di raccontarci un episodio interessante all'interno di una cornice che descrive l'assurdità della guerra (ma non di una guerra assurda, anzi fondata su ottime ragioni), lo fa con un tono sempre in bilico fra il dramma e la commedia elegante intrattenendo insegnandoci qualcosa e ponendo due domande importanti: la prima è esplicita e ricorre più volte durante la pellicola: vale la pena di sacrificare vite umane per preservare l'arte? La seconda, fra le righe, è: oggi lo faremmo ancora?
Il film è corale, ma fra gli interpreti spiccano Bill Murray, una spanna sopra tutti gli altri, e Cate Blanchett in un ruolo secondario ma di grande carisma. Molto ben fatti i costumi di Louise Frogley (collaboratrice abituale di Clooney, ultimamente molto lanciata grazie a film come  Quantum of solaceFlight, Iron Man III) e le scenografie di Helen Jarvis (Il secondo e terzo X-Men, ma soprattutto Watchmen I, robot); le musiche sono di Alexandre Desplat e la fotografia è dell'impareggiabile Phedon Papamichael. Fra tutte scelgo tre scene: quella del disco con gli auguri di Natale per Bill Murray, l'interrogatorio allo spocchioso ufficiale nazista e quella in cui Murray e Balaban trovano il generale nascosto nella casa di campagna: quasi una chiusura del cerchio rispetto all'interrogatorio del contadino LaPadite in Inglorious Basterds.


Il film pone, come abbiamo visto, due domande: alla prima dà anche una risposta: dopo aver visto morire alcuni dei suoi uomini Stout (il personaggio di Clooney) è in grado di dire che sì, tutto considerato ne è valsa la pena. Alla seconda domanda non c'è risposta esplicita. In quella situazione, quasi settanta anni fa era chiaro che - per quanto difficile e costoso - era necessario preservare l'esistenza delle opere d'arte che costituiscono il segno tangibile della nostra identità culturale (nel film vengono definiti achievements) affinchè la guerra non si portasse via le radici stesse su cui si fonda la civiltà occidentale; ed era talmente chiaro che i Monuments Men non costituiscono un'esperienza isolata, poichè in Italia possiamo rifarci a figure come quelle di Pasquale Rotondi e Rodolfo Siviero che ebbero un ruolo per molti versi analogo a quello dei personaggi celebrati nel film.


Anche oggi la conservazione delle opere d'arte che costituiscono il fondamento e la memoria delle nostre radici culturali è messa a repentaglio, non da un folle dittatore ma da una minaccia ancor più subdola e letale: il menefreghismo.
Oggi chi potrebbe sentire come un dovere il mettere a repentaglio la propria vita per salvare quadri, sculture e libri, quando in un paese come il nostro si sceglie di rinunciare a insegnare la storia dell'arte?
Forse i Monuments Men sarebbero necessari ancora oggi, ma quale amarezza dover sperare che la salvezza arrivi dall'esterno!
Godiamoci quindi un film realizzato con garbo di altri tempi, e speriamo che sia di ispirazione almeno alle nuove generazioni, visto che in tutta Europa più che andare fieri della nostra millenaria cultura e dei suoi achievements, ormai ce ne vergognamo.

The real Monuments Men

2014 - Monuments Men (The Monuments Men)
Regia: George Clooney
Fotografia: Phedon Papamichael
Scenografie: Helen Jarvis
Costumi: Louise Frogley
Musiche: Alexandre Desplat

martedì 11 febbraio 2014

Parisienne cigarettes - Joel & Ethan Cohen - Director's Ads


E' da poco uscito A proposito di Davis l'ultimo film dei più cinefili fra gli autori in attività oggi, i fratelli Cohen.
Se si sa quasi tutto della loro cinematografia,ma  è meno noto che i due non disdegnano affatto la realizzazione di commercial, nella confezione dei quali si rivelano non meno raffinati che nel loro lavoro sul grande schermo.

La pubblicità che vi propongo oggi è realizzata in totale autoproduzione (sarebbe a dire che il filmato è stato fatto senza l'ausilio di agenzie pubblicitarie) nel 2003 e costituisce la seconda collaborazione fra i fratelli Cohen e la marca di sigarette Parisienne (che non vende in Italia, quindi questo post non è configurabile come pubblicità).

Il primo commercial, realizzato nel 1999 (quindi ai tempi di Fratello dove sei), era girato come un horror anni 20 con un Nosferatu che dopo avere vampirizzato una avvenente fanciulla...si accendeva una sigaretta. Purtroppo non son riuscito a trovarlo!

Una delle caratteristiche dei Cohen è la capacità di svariare fra i generi cinematografici con grande scioltezza: nello stesso periodo in cui girano la loro screwball comedy Prima ti sposo poi ti rovino, con George Clooney e Catherine Zeta-Jones, realizzano anche questa pubblicità in cui quello che si presume essere un impresario teatrale assiste a un provino di un cantante vestito un po' alla Jerry Lewis, la faccia del produttore è piuttosto indecifrabile e l'epilogo una vera sorpresa.

Ignoro del tutto se la situazione sia una citazione (o un omaggio) di qualche film, prego i più colti fra i lettori di illuminarmi.


2003 - Parisienne People
Prodotto: Parisienne cigarettes
Regia: Joel Cohen

venerdì 7 febbraio 2014

Yves Saint Laurent


Fra i vari film che verranno presentati al prossimo Festival di Berlino si segnala Yves Saint Laurent di Jalil Lespert.
La sceneggiatura si basa sul libro Letters to Yves di Laurence Benaïm, adattato da un team di scrittori capitanato da Jacques Fieschi (Nelly e Monsieur Arnaud, Place Vendôme); il ruolo del protagonista è affidato a Pierre Niney, che può trarre profitto da una notevole somiglianza fisica con Saint Laurent.

L'operazione si propone come rigoroso biopic che narra dell'ascesa al successo dell'innovativo stilista francese e, in parallelo, della sua storia d'amore con Pierre Bergè, compagno e socio dello stilista.

Ed è proprio grazie all'endorsment di Pierre Bergé che Lespert ha potuto utilizzare numerosissimi modelli originali di Saint Laurent messi a disposizione dalla Fondazione Pierre Bergé - Yves Saint Laurent. In particolare i quasi ottanta vestiti della sfilata della collezione Opéra Ballet Russes, che viene ricostruita con grande cura nel film.

Imperdibile per tutti gli appassionati di moda, purtroppo al momento la pellicola non ha ancora trovato un distributore per l'Italia, in attesa che le case di distribuzione si diano una mossa, possiamo gustarci il trailer!


2014 - Yves Saint Laurent
Regia: Jalil Lespert
Sceneggiatura: Jacques Fieschi

mercoledì 5 febbraio 2014

The Wolf Of Wall Street


Annunciato, atteso e per molti versi anche temuto è infine giunto sugli schermi l'ultimo lavoro di Martin Scorsese, The Wolf Of Wall Street. Tratto dall'autobiografia del protagonista Jordan Belfort e magistralmente adattato per il grande schermo da Terence Winter (I sopranos, Boardwalk Empire) il film racconta la parabola di un giovane broker di Wall Street che ben presto si ricicla in tycoon della Stratton Oakmont, una società di brokeraggio di titoli spazzatura. Abilissimo venditore, Belfort si arricchisce moltissimo e in modo incredibilmente veloce, entrando in un vortice di droghe, feste e donne troppo facili. Nemmeno l'implosione del suo universo a causa di una indagine dell'FBI riuscirà a mettere in ginocchio l'ineffabile Jordan.


Si parla di The Wolf Of Wall Street come di una commedia, anche se alcune scene sono genuinamente esilaranti mi pare che Scorsese utilizzi la figura dell'iperbole per raccontarci qualcosa di noi. La pellicola è stata accostata ad altre dello stesso regista ma non ha il senso del grottesco di Fuori Orario, nè la ossessività che pervade l'Howard Hughes di The Aviator, nè tantomeno racconta di una ascesa e caduta come in Goodfellas. The Wolf Of Wall Street racconta di un vuoto che è prima di tutto culturale e si nutre di avidità: l'avidità di Belfort che truffa allegramente il suo prossimo e l'avidità - a ben vedere - dei suoi clienti che sperano di arricchirsi facilmente senza chiedersi come ciò sia realisticamente possibile.  Belfort e la sua compagine di spacciatori trasformati come per incanto in finanzieri non vogliono entrare nei salotti buoni da cui sono esclusi per ceto, non sono spinti dalla rivalsa verso una società che li guarda  dall'alto in basso. Nemmeno nel momento di maggior fortuna spostano la società da Long Island a Manhatthan: Jordan ed i suoi sanno bene che Wall Street è in realtà un posto a cui non appartengono; sono intrinsecamente, profondamente volgari: persino la loro droga preferita, il quaalud, è una droga da poveri, guidano auto stupende solo perchè appariscenti. Belfort possiede uno yacht costruito negli anni 50 per Coco Chanel e lo fa naufragare al largo della Sardegna per pura ignoranza (a proposito, significativa la descrizione del salvataggio "all'italiana" che finisce in una festicciola - nella realtà Belfort ed i suoi furono salvati dal Gruppo Operativo Incursori della Marina, nientemeno). Guardando il film mi sono venuti in mente sia i truffatori televisivi di The Hustle ("quando qualcuno vuole qualcosa in cambio di niente, noi gli diamo niente in cambio di qualcosa") e il Martin Sheen di Wall Street che chiede al figlio "ma è possibile che tu non voglia creare niente?".  Jay Gatsby, per tornare a un personaggio interpretato di recente dallo stesso Di Caprio, distrugge un impero costruito in modo disonesto, ma per amore; Jordan Belfort invece si può definire solo in negativo: guadagna e perde una fortuna non per noia, non per disprezzo delle regole sociali, non per inseguire una vita migliore, in effetti non ha motivazioni, ma solo un insondabile vuoto interiore.


Il casting è una delle cose più riuscite del film; oltre a un Leonardo Di Caprio molto in palla troviamo Jonah Hill che potrebbe trovare il suo Oscar per l'interpretazione di Donnie Azoff, il braccio destro di Jordan; Margot Robbie (è la seconda moglie di Jordan, Naomi) sfoggia un corpo praticamente perfetto da Barbie perversa, Jean Dujardin si consacra internazionalmente nella parte di un banchiere svizzero. Una parte breve ma significativa per Matthew McConaughey tanto bravo quanto fisicamente smagrito. Diversi registi ricoprono ruoli di secondo piano: Rob Reiner (Stand By Me, Harry ti presento Sally, Misery non deve morire, Codice d'onore) è bravissimo nella parte del padre di Jordan (geniale la scena in cui risponde al telefono), Jon Favreau (Iron Man I e II, Cowboys & Aliens) impersona il consulente legale di Jordan; se siete attenti vedrete comparire in un cameo anche il mitico Spike Jonze (Being John Malkovich, Her). Occhio all'ultima scena il presentatore che annuncia l'ingresso del protagonista è interpretato dal Jordan Belfort "autentico".


Sesso, droghe e turpiloquio, oltre che una lunghezza eccessiva (anche se non fastidiosa) ne fanno un film non per tutti i palati, tuttavia la maestria di un regista come Scorsese e la bravura degli attori ne fanno un'opera che non si può ignorare "a prescindere". 
La critica di Scorsese più che verso il mondo della finanza (che peraltro ne esce malissimo) è diretta a un modello di (in)cultura ormai dominante. Il personaggio di Jordan viene descritto dal punto di vista narrativo come se fosse guardato attraverso un obiettivo fish eye: Belfort non è drogato è strafatto, non vuole essere ricco ma straricco, non organizza feste ma baccanali, non è avido ma vorace. Più che un lupo in effetti ricorda uno squalo che divora tutto quello che gli passa accanto senza chiedersi neppure se sia commestibile o meno. 
D'altro canto un facile giudizio moralistico sarebbe avventato, perchè Belfort ha la stessa funzione di uno specchio deformante: in quella immagine fastidiosamente distorta che Scorsese ci confeziona ognuno di noi può trovare un pezzetto di sè, perchè non siamo noi ad aver fatto Jordan Belfort così com'è, ci piaccia o meno Jordan Belfort siamo noi.


2013 - The Wolf Of Wall Street
Regia: Martin Scorsese
Sceneggiatura: Terence Winter
Montaggio Thelma Schoonmaker
Costumi: Sandy Powell
Scenografia: Bob Shaw