mercoledì 22 febbraio 2012

Le idi di marzo - Sbagliare da professionisti

 

A gentile richiesta di Anna, una mia affezionata lettrice, per la rubrica "This gun for hire" ho visto il recente Le idi di marzo di George Clooney. Il film è ambientato durante le ipotetiche elezioni primarie del partito democratico nello stato dell'Ohio, ed il fatto che in questi mesi siano in corso le primarie per eleggere il candidato repubblicano alla Casa Bianca rende il film particolarmente interessante.

Giunto ormai alla quarta regia, Clooney si conferma autore con una predilezione per le storie poco convenzionali. La sceneggiatura è tratta da un'opera teatrale (di Beau Willimon), ed il plot è davvero poco originale. Una breve descrizione dei personaggi lascia capire tutto: un navigato e carismatico uomo politico che aspira alla Presidenza (Clooney), uno spin doctor che dirige la campagna elettorale (Hoffmann da un lato e Giamatti dall'altro), un giovane ma abile addetto stampa (Gosling), una avvenente stagista (Wood), una spregiudicata giornalista (Tomei). Il film segue una settimana nella campagna elettorale delle primarie per selezionare il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti e dedica uno sguardo caustico - ma interessante - sui mezzi utilizzati per emergere nell'agone politico.

Mike Morris gigioneggia con l'ufficio stampa.

Gli interpreti sono tutti di ottimo livello e molto ben diretti, nessuno (nemmeno il bel George) cede alla tentazione di prevaricare gli altri. Gosling è in scena praticamente per tutto il tempo.
Ryan Gosling: interpreta Stephen Meyers, l'addetto stampa di Mike Morris. Ha una faccia perfetta per la parte: a metà fra il bello e l'ottuso. Come spesso capita agli americani, gioca un po' sporco ma poi si frega da solo perchè ci tiene ad essere sincero ed  onesto; l'emblema di una famosa canzone di Paolo Conte: in un mondo adulto si sbaglia da professionisti.
Evan Rachel Wood: bella e brava (vista e apprezzata già in Across the universe, The Wrestler e Basta che funzioni) nella parte della stagista Molly, un personaggio privo di una corazza sufficientemente spessa per giocare fra i professionisti. Convincente quando fa la seduttrice e anche nelle scene più tragiche. Marylin Manson la preferì nientemeno che alla ex moglie Dita Von Teese: un vero talent scout! 
George Clooney: anche il suo volto è perfetto per il ruolo del governatore Morris, lanciato verso la presidenza degli USA. Una macchina da guerra dotata di idee politically correct, buona dialettica, simpatia e idee chiare sulle strategie. Per riprendere una vecchia battuta, rispetto a Barack Obama sembra solo un filo meno abbronzato. Che un film sia in grado di proporre un personaggio così vicino alla realtà mi ha lasciato piuttosto inquieto.
Philip Seymour Hoffman: uno dei migliori attori della sua generazione, si conferma anche qui un grande Paul Zara, il regista della campagna di  Morris fissato con la lealtà (detto tutto). 
Paul Giamatti: è Tom Duffy, l'omologo di Zara per il candidato avversario. Diabolicamente abile nell'individuare e sfruttare i punti deboli delgi avversari. Quando sfodera il ghigno mefistofelico mi ricorda un suo altro grande personaggio, il killer Hertz di Spara o muori con Cliwe Owen e Monica Bellucci. Giamatti riesce, con un fisico così poco hollywoodiano, ad essere sempre  suo agio ed anche qui dà un tocco sulfureo ad un personaggio che è il vero motore immobile della vicenda.
Marisa Tomei: dopo un inizio di carriera davvero sfolgorante trovo si fosse un po' persa. Ultimamente però mi era piaciuta (anche lei come la Wood) in The Wrestler di Aronofski.  Qui interpreta la giornalista del New York Times Ida Horowicz, compra e vende informazioni riservate come se fosse al mercato del pesce. La categoria dei giornalisti non ne esce benissimo: Ida è falsa, infida e venderebbe sua madre per scrivere una notizia in anteprima. Probabilmente il personaggio è molto realistico.

Morris e Meyers, apparire è comunicare

I personaggi de Le idi di marzo sembrano essere prigionieri del proprio ruolo, quasi che la politica (o meglio la lotta per la supremazia in una competizione che in questo caso è la politica, ma per analogia si potrebbe applicare a qualsiasi contesto) gli abbia tolto le caratteristiche di umanità per consentirgli solo le azioni funzionali allo svolgimento del proprio compito.
L'impressione che rimane è che tutti siano partiti carichi di buoni propositi e di sincera passione politica, nessuno dei personaggi è un cinico che lavora solo per il denaro (infatti si consolano a vicenda fantasticando sugli strapagati incarichi da consulente che avranno quando lasceranno l'agone politico); Stephen è realmente convinto che Morris sia la persona che può imprimere una svolta alla politca americana.
Però la lotta per il potere corrompe gli animi: di compromesso in compromesso, di sotterfugio in sotterfugio tutto perde di significato. Fanno quello che devono fare, i personaggi di Clooney, un po' come spie che non si domandano più se la propria parte sia quella giusta (infatti di  fronte all'errore i primo impulso è di passare al nemico, continuare a fare le stesse cose per un padrone diverso).  Del resto, questi sono i veri professionisti della politica: i portaborse, gli addetti stampa, gli esperti analisti delle leggi, che magari passano di candidato in candidato, di partito in partito in una spirale che trasforma la passione in professione, venendo sempre un po' più a patti con la propria coscienza. Ce ne sono tanti anche da questa sponda dell'Atlantico, non è certo una caratteristica solo americana, ma spesso non ci piace pensare che sia così.
Gli ideali, per quanto affermati a parole non prevarranno: alla fine ognuno lavora per il proprio tornaconto, passando sopra ai propri principi, ed il senso di colpa non è mai sufficiente a far sì che le cose cambino davvero.

Clooney posa uno sguardo disilluso su un pezzo di società americana, usa ottimi argomenti e sfugge dalle eccessive semplificazioni. Per riprendere una battuta famosa quanto la precedente, se i personaggi di questo film fossero cattolici, sarebbero "cattolici adulti": in questo mondo il compromesso possibile avrà sempre partita vinta contro l'aspirazione alla perfezione ideale.
Clooney probabilmente ha ragione, ma che amarezza!

Meyers e Horowicz, soli anche quando sono in compagnia

2 commenti:

  1. oggi al radio giornale hanno commentato gli introiti milionari dei politici (per tacere i patrimoni), tornando alla ottocentesca considerazione che, ahimè, la politica è un mestiere per ricchi, e forse per anime osmotiche che riescono a mutare e a compromettersi.
    Lo stupore che coglie guardando l'America è legato alla grande voglia di credere e di perdersi nel gruppo che crede in quello in cui credi tu, tralasciando tutto quello che si cela dietro a questa splendida 'pelle'.
    anonimo delle 3 e 37

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    1. Hai ragione Anonimo delle 3 e 37, in compenso mi pare che da noi nessuno creda più a un briciolo di sincerità nei politici, e nella politica. tutto si fa per un fine "privato", mascherato da scelta ideologica.
      In questo film mi pare che le persone si mutino in personaggi giustificando nefandezze e compromessi vari per il raggiungimento di un "fine superiore". Una riflessione importante, soprattutto in quanto proveniente da un posto dove il socialismo, variamente "reale", non si è quasi affacciato.

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